In un mondo videoludico sempre più orientato verso le avventure in multiplayer competitivo o ai grandi brand già conosciuti al pubblico, lanciare sul mercato A Way Out, l’ultima fatica di quello che possiamo tranquillamente definire un pazzo visionario dell’industria videoludica, Josef Fares, non deve essere stato affatto semplice: data la sua natura, il progetto nascondeva più insidie che certezze. Hazelight Studio, capitanato dall’attore di origine Libanese è riuscito nell’intento di confezionare un prodotto che definire rischioso sarebbe un’eufemismo. Successivamente alla presentazione del trailer e alle prime dichiarazioni in merito, il piccolo studio svedese dichiarò che il gioco sarebbe dovuto essere giocato obbligatoriamente in cooperativo, sia locale che online. Questo perchè secondo Fares la storia necessitava un’empatia fra i videogiocatori, non possibile qualora la storia fosse stata affrontata in single player.
L’ormai noto produttore ha esordito nel lontano 2013 con quel piccolo gioello che è Brothers: A Tale of Two Sons, un gioco che nel suo essere semplice e senza mai far uscire una parola dalla bocca dei due protagonisti è riuscito a raccontare una storia forte, matura, carica di emozione che lasciava il videogiocatore spiazzato per la crudezza con la quale a schermo venivano narrati gli avvenimenti. In quell’occasione la particolarità del gameplay risiedeva nell’utilizzo dei due analogici, ognuno atto a controllare i fratelli. nel caso di A Way Out questo concetto si evolve escludendo del tutto ogni possibilità di giocare da soli.
“Sugar in my coffee“. Con questa canzone di Caught a Ghost è stato presentato il trailer di lancio di A Way Out, e per chi come me è cresciuto guardando e riguardando Il Miglio Verde, quel nome “Coffey”, come la bevanda ma scritta in maniera diversa, ha rievocato delle sensazioni particolari, un brivido lungo la schiena. Inoltre quell’atmosfera tipica delle carceri americane del dopoguerra mi hanno fatto ben sperare riguardo la cosa che per me, in questa particolare tipologia di giochi, resta la più importante, la storia. L’avventura inizia con un lungo piano sequenza che ci accompagna durante tutta la fase iniziale del gioco, in cui i due protagonisti finiranno per incrociare le proprie strade e decidere di evadere dalla prigione statunitense. I due hanno uno scopo comune da perseguire, ovvero la resa dei conti nei confronti di Harwey, un noto criminale che è riuscito ad incastrare i due malcapitati. Leo Caruso e Vincent Moretti, i due protagonisti, sono profondamente diversi tra loro, non sono coetanei e provengono da due ceti sociali completamente opposti. Leo è un ragazzo cresciuto ai margini della società, costretto suo malgrado a vivere di piccoli furtarelli, riscaldato dal cuore della compagna di una vita, sempre pronta a difenderlo. Vincent è un ex impiegato di banca, un uomo colto, finito in carcere per aver riciclato del denaro sporco e accusato dell’omicidio del fratello e della moglie al nono mese di gravidanza.
Il gameplay di base è abbastanza semplice, lo split-screen vi accompagnerà durante tutto il gioco, intervallato non troppo spesso da scene in cui un solo giocatore a schermo sarà presente. Bellissima la scelta registica nel non mantenere lo schermo condiviso sempre a metà. Spesso vedremo l’inquadratura cambiare, non rendendo il tutto statico, ma al contrario andremo ad affrontare scene adrenaliniche gestite alla perfezione, non facendo mai stancare il videogiocatore. La durata dell’avventura si assesta orientativamente dalle 6 alle 8 ore, molto dipenderà da voi stessi, in quanto lungo tutto il gioco sono disseminati una serie praticamente infinita di minigiochi, alcuni veramente divertenti, quali freccette, forza 4, il lancio del ferro del cavallo, altre veramente realizzate male e quasi fuoriluogo, come la partita a basket, utile soltanto ai fini della storia. Il mio consiglio personale è quello di non tralasciare alcuna attività, in quanto oltre ad essere divertenti e funzionali alla storia, vi lasceranno scappare qualche sincera risata col vostro partner. Io ad esempio mi sono tanto divertito durante la gara di braccio di ferro, il cui scopo era semplicemente quello di premere il tasto quadrato (su PlayStation 4) per portare allo sfinimento il compagno. Semplice, ma come dicevo in precedenza, sono tutti piccoli escamotage per creare empatia col proprio amico/personaggio.
Le ambientazioni di gioco rappresentavano una mia paura iniziale, visto che temevo di dover giocare l’intero titolo all’interno del carcere. Hazelight Studios è stata veramente brava nel sapere differenziare in maniera coerente i vari ambienti di gioco, miscelando in maniera sapiente location e situazioni. I puzzle ambientali sono relativamente semplici: in rari casi ci siamo ritrovati a pensare più del dovuto, ma sicuramente l’intento di Fares era quello di rendere l’avventura il più fluida possibile, senza bloccare il giocatore in perdite di tempo che ne avrebbero rovinato il ritmo. Una cosa che mi ha fatto storcere particolarmente il naso sono state le fasi di shooting, veramente forzate, con un gunplay poco preciso. Ad esempio se il vostro nemico è affacciato su una balconata difesa da delle inferriate, pur provando a colpire fra esse, il proiettile non scalfirà minimamente il malcapitato, ritrovandovi costretti a sparargli in testa.
Inoltre, in A Way Out sono presenti delle parti in cui guideremo degli autoveicoli e non solo. Queste sono rese magnificamente, in quanto mentre l’amico è intento alla guida, – realizzata discretamente -, il partner dovrà sparare o allontanare i nemici, con tutte le difficoltà del caso. Una menzione di merito mi sento di farla anche nei confronti delle musiche scelte. Tutte perfettamente coerenti con il mondo e gli ambienti che andremo a visitare, donando quell’ulteriore tocco di magia all’intera produzione.
A Way Out è un chiaro omaggio a film del calibro de Le Ali della Libertà e Il Miglio Verde. Alcune scene sono palesemente riprese dalle pellicole in questione, d’altronde Josef Fares è un attore, nato e cresciuto frequentando i palcoscenici più famosi del mondo del cinema. Avrete notato come non abbia accennato più di tanto alla storia: tuttavia, trattandosi dell’elemento cardine dell’intera produzione ho preferito non rovinarvi la sorpresa e lasciarvi scoprire in prima persona cosa vi riserverà la splendida sceneggiatura di questo titolo. La pelle d’oca e la sensazione di aver giocato a qualcosa di unico nel suo genere mi hanno reso orgoglioso di scrivere questa recensione. Fatevi un favore e recuperate il titolo se ancora non lo avete fatto, d’altronde per chiunque dovesse acquistare la copia, può gratuitamente far giocare l’amico sia in locale che in multiplayer.
A Way Out mi ha ridato indietro l’adolescenza, anche se per un breve periodo, regalandomi emozioni che non credevo di poter più provare e soprattutto condividere all’interno di un gioco con un amico. Se da un punto di vista prettamente narrativo ed emozionale il titolo non può che prenderti ed esaltarti, la condivisione del gioco con un tuo caro amico dona sicuramente quella poeticità in più, che viene implementata alla perfezione all’interno di un’avventura che non stanca mai e ti lascia con l’adrenalina a mille fino alla fine, inserendo meccaniche co-op davvero rivoluzionarie. La già bella cinematografia della storia e del gameplay viene inoltre condita da tantissime attività secondarie e molto divertenti che vi permetteranno di sfidare il vostro amico nei più disparati giochi, trovati per caso in strada, come fare un tiro a freccette, Forza 4, strimpellare musica in sincronia o restare in equilibrio su una sedia. L’unica nota stonata che mi sento di dire è legata alle parte d’azione e shooting, che potevano sicuramente essere pensate e progettate meglio. Per concludere, il mio consiglio è solamente uno: prendete il telefono e chiamate il vostro amico del cuore, anche se non lo vedete da molto tempo o non giocate più insieme da anni, e regalatevi questa piccola grande ultima avventura insieme.